Problematiche ambientali e sanitarie derivanti dall’uso di biomasse quali fonti di energia

Problematiche ambientali e sanitarie derivanti dall’uso di biomasse quali fonti di energia

Introduzione

Nella letteratura scientifica internazionale si osserva un crescente interesse all’inquinamento dell’aria indotto dall’uso energetico di biomasse. Se nel biennio 1994-96 risultavano pubblicati solo 9 articoli con queste parole chiave, nel biennio 2004-2006 le pubblicazioni risultavano essere 101 e dal 2007 ad oggi gli articoli pubblicati che trattano questi argomenti sono già 131.

Questo fatto è sicuramente legato al crescente interesse nell’uso di biomasse a scopo energetico, tradizionale nei paesi in via di sviluppo, ma in rapida crescita anche in paesi sviluppati (Svezia, Canada, Australia..) prevalentemente a causa dei costi più bassi, rispetto ai combustibili fossili. Pertanto gli studi più recenti riguardano l’impatto ambientale e sanitario derivante dall’uso energetico di biomasse in paesi sviluppati, dove le biomasse sono utilizzate sia per il riscaldamento domestico che per la produzione di energia elettrica e calore in impianti dedicati.

La maggior parte di questi studi riguardano la Svezia, a causa della sua grande produzione di legname e del diffuso uso a scopi energetici degli scarti di questa attività.

Ad esempio, lo studio condotto da P. Molnar [1] ha evidenziato che le famiglie svedesi che utilizzavano legna per il loro riscaldamento domestico avevano una maggiore esposizione personale a zinco, rame, piombo e manganese. Questo autore concludeva la necessità di studi più approfonditi per valutare l’effetto del fumo da legna sullo stato di salute della popolazione generale.

Altri studi condotti su popolazioni esposte alle emissioni da combustione di biomasse in paesi avanzati evidenziavano effetti sull’asma e sulla funzionalità respiratoria [2]

Un altro studio condotto in Svezia a firma di P. Gustafson [3] segnala che le famiglie svedesi che utilizzano legna, rispetto ai controlli, hanno una maggiore esposizione a benzene e 1-3 butadiene. Si tratta di due potenti cancerogeni riconosciuti pericolosi per la salute umana che caratterizzano le emissioni derivanti dalla combustione di biomasse. In base ai valori di esposizione l’autore giudica basso il rischio di cancro degli esposti, ma indubbiamente si tratta di una esposizione non desiderabile e certamente evitabile se si utilizzano altri combustibili.

Uno studio condotto in Canada [4] evidenzia nelle donne di Montreal esposte ai prodotti di combustione di carbone e legna utilizzati a scopo domestico un significativo aumento di tumore polmonare che suggerisce, ancora una volta la necessità di chiarire il ruolo delle emissioni da combustione di biomasse nell’induzione di questa malattia.

Peraltro, nostri studi condotti in Italia, nell’ambito dell’attività di ricerca dell’Istituto Nazionale Ricerca sul cancro di Genova, hanno evidenziato come, in due paesi appenninici dove l’uso della legna da ardere nelle stufe è diffuso, le concentrazioni di benzo(a)pirene nelle abitazioni che utilizzavano legna era tendenzialmente maggiore di quelle trovate in case che usavano il metano o il GPL come combustibile. Analoghi risultati sono stati ottenuti in abitazioni russe riscaldate a legna [5]. E il benzo(a)pirene e altri idrocarburi policiclici aromatici sono composti cancerogeni che notoriamente si producono durante le combustioni di biomasse.

Misure condotte in trenta abitazioni austriache riscaldate al legna hanno riscontrato anche la presenza di diossine nei fumi emessi [6].

Tutti questi studi, effettuati su impianti di riscaldamento a legna ad uso domestico, evidenziano un problema generale delle biomasse: la loro combustione produce, inevitabilmente, numerosi composti tossici e grandi quantità di polveri fini ed ultrafini.

La combustione di legna e altre biomasse solide in impianti industriali ad alta efficienza termica e con adeguati trattamenti dei fumi riduce queste emissioni, ma non le annulla.

Impianti termoelettrici a biomasse

Nel nostro Paese l’uso di biomasse per la produzione di elettricità è in forte espansione per gli ingenti incentivi dati a questa produzione, con il meccanismo dei certificati verdi.

Motivo dell’incentivo, l’essere state incluse le biomasse tra le fonti energetiche rinnovabili ed una presunta riduzione delle emissioni di gas serra, se queste sono usate come combustibile.

In linea di principio, l’uso energetico di biomasse ha un effetto neutro sulle emissioni di gas serra in quanto con la combustione si ri-immette in atmosfera anidride carbonica che durante la crescita le piante avevano assorbito dall’atmosfera e fissato sotto forma di cellulosa e altri composti organici ( lignina, amidi, zuccheri…) nei loro tessuti, ma il meccanismo dei certificati verdi, induce una pesante distorsione nel mercato con effetti contraddittori, rispetto all’obiettivo prefissato.

I certificati verdi incentivano la produzione di elettricità dall’uso di biomasse, mentre non ci sono incentivi per i soli usi termici della legna (riscaldamento domestico ed industriale) e per il compostaggio delle biomasse ligno-cellulosiche, nonostante il fatto che queste due tecniche, in particolare il compostaggio, comportino una maggiore riduzione delle emissioni di gas serra, a parità di biomassa utilizzata.

I dubbi che impianti termoelettrici alimentati a biomasse ottengano effettivamente il risultato di una riduzione delle emissioni di gas serra sono legittimi, specialmente quando, come spesso avviene, nelle specifiche del progetto manchi un serio bilancio dei gas serra prodotti ed evitati.

I bilanci di gas serra

A nostro avviso un progetto della centrale a biomasse, dovrebbe presentare una attenta analisi dei cicli di vita dell’impianto, con riferimento al bilancio dei gas serra, effettuato secondo consolidate procedure [7, 8]: emissioni di gas serra nelle fasi di coltivazione, raccolta e trasporto delle biomasse all’impianto; durante l’uso di combustibili fossili (metano?) previsti nelle fasi di avvio delle caldaie; nel pretrattamento e trasporto delle ceneri alla loro destinazione finale; nella costruzione e nello smaltimento dell’impianto e durante la bonifica dell’area, alla fine dell’ esercizio dell’impianto.

Nel bilancio dei gas serra correlato alla attività della centrale, dovrebbe essere anche conteggiato il carbonio presente nei residui delle attività agricole e non più interrato, secondo consolidate pratiche agronomiche (sovescio) atte a mantenere un adeguato e costante contenuto di humus (di carbonio) nel terreno agricolo. A favore della realizzazione dell’impianto, ovviamente, bisognerebbe conteggiare i gas serra risparmiati per evitato utilizzo di combustibili fossili per produrre elettricità, in base ai mix di fonti rinnovabili e non rinnovabili utilizzati in Italia per produrre energia elettrica.

Occorre comunque sottolineare che l’assenza di forme di teleriscaldamento e di utilizzo del calore residuo alla produzione di elettricità, in alcuni progetti di impianti a biomasse fanno presumere, per questo particolare uso delle biomasse, rendimenti energetici (elettricità + calore) molto bassi.

Il calcolo dell’energia utilizzata per la produzione, la raccolta e il trasporto delle biomasse all’impianto, dell’energia necessaria per trasportare le ceneri alla loro destinazione finale e per provvedere al loro eventuale smaltimento e per la dismissione finale, abbassa ulteriormente la stima dell’efficienza energetica di un impianto di produzione di elettricità alimentato a biomasse.

Impatto ambientale

A fronte di un legittimo dubbio sul reale beneficio che l’entrata in esercizio di impiant a biomasse comporterebbero sulle sorti climatiche del Pianeta, gli studi sugli impatti ambientali indotti dalla combustione di biomasse in impianti industriali per la produzione di elettricità inducono grande cautela.

A nostro avviso, non bisogna trascurare il fatto che le biomasse che saranno usate come combustibile, anche dopo depurazione dei fumi prodotti, provocheranno l’immissione nell’ambiente di quantità non trascurabili di numerosi macro e micro inquinanti (polveri sottili [9] ed ultra sottili, ossidi di azoto, idrocarburi policiclici aromatici [10], diossine..) con effetti potenzialmente pericolosi per la salute della popolazione esposta.

E nel bilancio ambientale, occorre sommare anche le emissioni prodotte dal traffico pesante [11] indotto dall’entrata in funzione dell’impianto e parte integrante della attività dell’impianto stesso, ovvero tutti gli automezzi necessari per i conferimenti di biomasse e per il ritiro e lo smaltimento delle ceneri.

Delle emissioni di polveri fini ed ultrafini [12, 13], di ossidi di azoto, di policiclici aromatici di diverse decine di mezzi pesanti al giorno, lungo tutto il percorso che giornalmente dovranno coprire, spesso non si trova traccia nei documenti autorizzativi.

E spesso nulla si dice sul ruolo di queste emissioni prodotte dal traffico e di quelle della centrale, nella formazione di ozono e di polveri fini ed ultrafini di origine secondaria [13], ovvero inquinanti pericolosi che si formano in atmosfera, a distanza dalla fonte, per reazioni chimiche e fotochimiche degli inquinanti primari (ossidi di azoto, idrocarburi).

In questo caso, riteniamo sia doveroso dare il giusto peso alla salute umana, rispetto alla salute dell’atmosfera del Pianeta e, secondo il nostro parere, non si può privilegiare (economicamente) un discutibile contenimento delle emissioni di gas serra, e un sicuro guadagno dell’impresa, se questa scelta aumenta i rischi sanitari della popolazione esposta.

Il bio-metano come fonte energetica da biomasse

Ci sembra opportuno sottolineare il fatto che la combustione di un combustibile gassoso come il metano, a parità di energia elettrica e calore prodotto, produce molto meno inquinanti primari e secondari, rispetto alle biomasse solide; questo combustibile è esente da ceneri, non necessita di trasporto e quindi non induce inquinamento e possibili incidenti stradali, legati alla movimentazione di veicoli.

E se il metano siberiano o libico è un combustibile fossile e come tale è opportuno ridurne l’uso, anche grazie ad una maggiore efficienza energetica di edifici ed industrie, il metano da fermentazione anaerobica di biomasse di scarto, comprese parte di quelle che si vogliono termovalorizzare nelle centrali a biomasse, potrebbe permettere un’efficace contenimento delle emissioni di gas serra, con un’impatto ambientale nettamente inferiore a quello indotto dall’uso come combustibile di gran parte delle biomasse solide che si vogliono bruciare nelle centrali termoelettriche.

Molto interessante sarebbe la realizzazione di un impianto di fermentazione anaerobica, progettato secondo le migliori tecnologie disponibili, dimensionato al trattamento degli scarti agricoli e degli allevamenti di bestiame operanti in zona e se necessario anche al trattamento della frazione umida dei rifiuti urbani raccolti con sistemi Porta a Porta.

Un impianto di questo tipo, finalizzato alla produzione di metano e alla conversione energetica di questo gas sia per gli autoconsumi dell’impianto, che per usi esterni (riscaldamento-raffreddamento, autotrazione, cogenerazione di elettricità e calore), potrebbe rendere energeticamente autosufficienti le aziende agricole che operano nell’area. Inoltre, un impianto per il trattamento aerobico dei fanghi prodotti dal digestore e di cippato di legno derivante da eventuali potature e dalla gestione dei vicini boschi, potrebbe chiudere il ciclo, con la produzione di compost di qualità, prodotto che troverebbe la sua naturale destinazione nelle stesse aziende agricole che alimentano il digestore. In questo caso, la costante segregazione nei terreni agricoli del carbonio organico sintetizzato dalle piante, nella forma di compost, darebbe un contributo alla riduzione dei gas serra nettamente maggiore di quello della semplice combustione delle stesse biomasse.

Compatibilità con l’attività agricola

L’uso delle biomasse prodotte dalla filiera corta locale per alimentare un impianto integrato anaerobico-aerobico, con le caratteristiche descritte nel precedente paragrafo, sarebbe assolutamente funzionale alla produzione agricola di qualità, all’allevamento di bovini che spesso caratterizzano le aree circostanti gli impianti proposti.

L’uso energetico del metano e del compost, nelle attività agro-alimentari, ridurrebbero i costi aziendali ma, fatto ancora più importante, tale scelta sarebbe assolutamente compatibile con auspicabili scelte di agricoltura biologica e di produzioni di prodotti DOC.

La realizzazione di un sistema integrato, in grado di gestire con equilibrio, con un ridotto impatto ambientale, le risorse naturali del territorio potrebbe essere un efficace volano, anche promozionale, al nuovo modello di sviluppo agricolo che si sta realizzando in molte aree italiane.

Tutti questi vantaggi, verrebbero meno con l’entrata in funzione di una centrale termoelettrica a biomasse, la cui progettazione e il cui dimensionamento è assolutamente avulso dalla realtà e dalla vocazione agro-alimentare del territorio che dovrebbe ospitarla.

Nella progettazione spesso si ignora il fatto che gli inquinanti, immessi direttamente e indirettamente nell’ambiente dall’attività della centrale (in particolare ossidi di azoto e ozono) possono, in modo rilevante, ridurre la produzione agricola [14-16] e l’accumulo nell’ecosistema di composti persistenti (metalli, policiclici, diossine) [17] [18], prodotti dalla combustione, potrebbe essere incompatibile con gli obiettivi di una produzione agricola ed alimentare di alta qualità.

Anche i consumi di acqua per il raffreddamento dell’impianto termoelettrico si metterebbero in concorrenza con l’uso agricolo di questa risorsa.

L’impatto ambientale delle centrali a biomasse

Per l’approvazione di una centrale a biomasse ci sembra insufficiente, come di solito si vede scritto nei documenti di presentazione, un semplice riferimento all’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili; questo è un requisito obbligatorio per legge, per ottenere l’autorizzazione, ma che da solo non garantisce la salute dei cittadini esposti agli inquinanti, comunque prodotti ed immessi nell’ambiente.

Un più corretto termine di riferimento per giustificare questa scelta, dovrebbe essere il confronto della qualità dell’aria, del suolo e delle acque, prima dell’entrata in funzione dell’impianto a biomasse, con stime della qualità delle stesse matrici ambientali, una volta che l’impianto proposto fosse realizzato.

Questo confronto si deve fare con riferimento ai bilanci di massa (quantità di inquinanti immessi nell’ambiente su base annua), alle concentrazione nei recettori finali, ma anche al progressivo accumulo di inquinanti persistenti nel suolo e nei sedimenti.

A riguardo, fondamentale è la stima del possibile progressivo bioaccumulo lungo la catena alimentare dei metalli tossici e dei composti organici persistenti presenti nelle emissioni, nel corso della vita operativa dell’impianto.

Per approvare il nuovo impianto, con riferimento ai suoi possibili effetti sulla salute e sulla qualità dell’ambiente, sarebbe stato opportuno imporre questa condizione: con l’entrata in funzione dell’impianto a biomasse, la qualità dell’aria e delle diverse matrici ambientali interessate alle sue emissioni deve migliorare o per lo meno restare uguale a quella pre-esistente.

Questi prerequisiti fanno esplicito riferimento alla Direttiva 96/62/CE sulla gestione e qualità dell’aria ambiente dei paesi dell’Unione che, all’Articolo 1 individua tra i suoi obiettivi
quello di “mantenere la qualità dell’aria ambiente, laddove è buona, e migliorarla negli altri casi“.

Nel caso in esame, il miglioramento della qualità dell’aria nelle zone di potenziale impatto della centrale potrebbe essere possibile se, ad esempio, nel sito interessato le biomasse sostituissero un combustibile più inquinante, ad esempio olio pesante utilizzato in un impianto termoelettrico già esistente, oppure se l’impianto a biomasse sostituisse un impianto già esistente, meno efficiente dal punto di vista energetico.

Un miglioramento sarebbe possibile qualora il recupero del calore prodotto dalla combustione delle biomasse possa permettere di spegnere numerose calderine per uso domestico, meglio se anch’esse a biomasse, o altri processi di combustione per uso industriale operanti in zona, con fattore di emissione superiori a quelle ottenibili con la combustione di biomasse.

Il fatto che il nuovo impianto a biomasse non dovrebbe peggiorare la situazione ambientale esistente prima della sua realizzazione è una considerazione che, come già detto, oltre che essere in sintonia con le scelte della Unione Europea in tema di politiche di tutela dell’ambiente e della salute, è motivata dal fatto che, come già accennato, ai fini del risparmio energetico e della riduzione delle emissioni di gas serra non esiste solo la combustione di biomasse per la produzione di elettricità e di energia termica.

Senza Certificati Verdi nessuno imprenditore privato farebbe questa scelta. La verità è che le biomasse sono un combustibile povero, economicamente ed energeticamente conveniente, senza sovvenzioni, solo nelle circostanze che si verificano in paesi come la Svezia, dove l’industria del legno produce grandi quantità di scarti e la morfologia del territorio permette il facile taglio e trasporto di questi materiali.

Inoltre solo le condizioni climatiche di paesi come la Svezia rendono particolarmente economica la cogenerazione da biomasse, in quanto la contemporanea produzione di calore e di elettricità avviene per periodi ampiamente più lunghi di quelli necessari per i climi quali quelli del centro Italia.

Come già affermato, l’uso di biomasse a scopo energetico presenta problemi di impatto ambientale tutt’altro che trascurabili.

Oltre che alle emissioni di inquinanti convenzionali, quali ossido di carbonio, polveri totali sospese e ossidi di azoto [19] occorre porre attenzione, come già accennato, ad inquinanti meno convenzionali che si producono con la combustione di biomasse, polveri sottili, [19], formaldeide [20], benzene [21], idrocarburi policiclici aromatici [5], diossine [6, 22].

E, nonostante le segnalazioni che ci vengono dalla letteratura scientifica spesso non si trova traccia, nelle autorizzazioni di centrali a biomasse, di limiti a specifici e pericolosi inquinanti certamente emessi dalla combustione delle biomasse quali benzene, formaldeide e butadiene.

Economie di scala e impatti ambientali

Dal punto di vista dell’impatto ambientale, la scelta di privilegiare la combustione di biomasse per la produzione di elettricità pone un altro problema: l’economia di scala.

Una centrale a biomasse, per poter produrre elettricità a costi confrontabili con quelli in uso in Europa, deve avere una potenza pari a 20 megawatt elettrici [23]. Ma a potenze installate maggiori corrispondono bilanci di massa proporzionalmente più elevati.

Segnaliamo, che nei documenti relativi alla disponibilità di biomasse da filiere più o meno corte, raramente si trova traccia degli effetti di questo continuo prelievo di biomasse, negli equilibri in micro e macro nutrienti dei terreni agricoli e forestali coinvolti.

Valutazioni di tipo agronomico sottolineano la delicatezza di questo punto, sia per quanto riguarda la necessità che micronutrienti ritornino ai campi e ai boschi dai quali sono stati sottratti insieme alle biomasse, ma anche ai problemi che si potrebbero avere nel tempo se questa restituzione avvenisse con parte delle ceneri.

Nei progetti spesso si afferma che le ceneri saranno inviate a cementifici, ma questa proposta quasi sempre è fatta senza alcun tipo di analisi a supporto di questa scelta, in particolare di quali sarebbero i cementifici disposti ad accettare tutte queste ceneri, in considerazione della grande offerta di questi scarti da centrali a carbone e inceneritori.

Le ceneri

La gestione delle ceneri da biomasse non è un fatto banale. Questo argomento risulta trattato da diversi autori con riferimento al recupero, utilizzo e smaltimento delle ceneri che gli impianti a biomassa inevitabilmente produrranno [5, 19, 24], pari allo 0,5 -0,7 % in peso, rispetto alla quantità di materiale trattato, se viene bruciato legname essiccato, ma con percentuali più elevate, se sono usate biomasse come la paglia che lascia un residuo pari al 15,5% del peso della paglia bruciata, un valore nettamente superiore alle ceneri prodotte dal carbone (7%).

Altro problema critico è il livello di tossicità delle ceneri ed in particolare delle ceneri volanti raccolte dagli impianti di depurazione dei fumi. Anche questo specifico argomento non ci sembra adeguatamente approfondito nelle relazioni fornite. Ricordiamo che il contenuto di cadmio, cromo, rame, piombo e mercurio delle ceneri volanti derivanti dalla combustione di legname (quercia, faggio, abete) è superiore a quella riscontrabile nelle ceneri volanti prodotte dalla combustione di carbone [24].

Questo risultato segnala la necessità di non sottovalutare la possibilità che questi metalli tossici siano presenti nelle polveri leggere raccolte dai sistemi di filtrazione dell’aria. Questa evenienza, se verificata (e certamente da non escludere a priori) deve far scattare adeguate contromisure a tutela della salute dei lavoratori che dovranno provvedere allo smaltimento di queste polveri. E la possibile presenza di cadmio e mercurio nelle biomasse termovalorizzate, comporta anche la necessità di prevedere la loro presenza nelle emissioni gassose prodotte dalla loro combustione.

Se la presenza di cadmio e mercurio nei fumi di una centrale a biomasse richiederà una verifica sperimentale, è certa la presenza negli stessi fumi di idrocarburi policiclici aromatici, diossine e furani.

E a riguardo spesso, sia la società proponente che gli Enti pubblici di controllo, ignorano specifiche e subdole caratteristiche eco-tossiche di queste classi di composti: persistenza, bioaccumulo lungo la catena alimentare, effetti genotossici e, con riferimento a policiclici aromatici, diossine e furani, effetti di interferenza sul sistema endocrino.

Queste caratteristiche, in sintesi, comportano il fatto che la pericolosità di questi composti non è dovuta alla loro concentrazione nell’aria inalata, ma alla concentrazione, destinata ad aumentare nel tempo, nelle diverse matrici ambientali presenti nella zona di deposizione e lungo la catena alimentare, fino al consumatore finale che, nel caso della specie umana, è la sua prole, nella fase di allattamento al seno.

Il caso frequente della presenza di un’ intensa attività agricola nel comprensorio potenzialmente interessato alle ricadute dei fumi della centrale, sottolinea la necessità di non sottovalutare questo problema.

Purtroppo, le normative europee e nazionali non hanno ancora recepito le conoscenze della comunità scientifica internazionale che suggeriscono l’opportunità che le emissioni di composti organici persistenti e bioaccumulabili e metalli con analoghe caratteristiche tossicologiche, siano normati in base alla quantità complessiva di questi composti (da qualunque fonte emessa) che, annualmente, si deposita al suolo [25]. In questo caso, il valore fissato alle immissioni giornaliere dovrebbero essere tali da garantire che l’utilizzatore finale degli alimenti prodotti a partire da quel terreno contaminato, assuma una quantità di diossine inferiore alla dose che, oggi, le organizzazioni internazionali per la tutela della salute pubblica (OMS) giudicano tollerabile.

Analoga considerazione si può fare per gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), composti riconosciuti come cancerogeni e distruttori del sistema endocrino.

Diversi IPA tra quelli normati sono cancerogeni certi per l’uomo e la loro formazione è una caratteristica della combustione di ogni biomassa, a partire dalla combustione delle foglie di tabacco.

Anche questa emissione sarebbe nettamente inferiore se, a parità di energia elettrica e termica prodotta, la centrale termoelettrica, al posto delle biomasse, utilizzasse come combustibile il bio-metano, nelle cui emissioni, a parità di energia prodotta, i policiclici aromatici cancerogeni sono presenti a concentrazioni nettamente inferiori.

Conclusioni

Ci sembra utile concludere queste nostre osservazioni, citando a nostra volta le conclusioni di un recente studio svedese che ha messo a confronto diversi combustibili per impianti di teleriscaldamento (con produzione combinata di calore e elettricità), in base ad una analisi del ciclo di vita [26] che ha considerato sia gli aspetti energetici che quelli ambientali. Sono stati messi a confronto l’incenerimento di rifiuti, la combustione di biomassa e la combustione di metano. Le conclusioni sono che l’incenerimento dei rifiuti non è la migliore scelta e spesso è la peggiore se l’incenerimento (con teleriscaldamento) sostituisce il riciclaggio. Un impianto di cogenerazione a metano è una alternativa interessante e da preferire se l’elettricità prodotta è in sostituzione di elettricità prodotta da combustibili fossili, come avviene in Italia. Se il paese in esame fa un prevalente uso di fonti energetiche non fossili (nucleare, idroelettrico, solare, eolico) come la Svezia, l’uso energetico delle biomasse è da preferirsi al metano.

Nostra conclusione pertanto è che l’inquinamento ambientale indotto dai tanti impianti a biomasse che si propongono in Italia, pur nel pieno rispetto delle norme vigenti, peggiora l’attuale qualità dell’aria dei territori che dovrebbero ospitarle, con le emissioni da camino e con quelle del traffico veicolare indotto (ossidi di azoto, polveri fini (PM10) ed ultra fini (PM2,5) e peggiora anche la qualità del suolo, e dei prodotti agricoli di questi stessi suoli, con le ricadute di composti organici persistenti (diossine, furani, idrocarburi policiclici) e probabilmente di metalli pesanti.

I rischi sanitari indotti da questa contaminazione, per quanto piccoli possano essere stimati, non sono giustificati dai benefici collettivi indotti dalla realizzazione dell’impianto, il cui principale scopo è quello di massimizzare gli utili dei proponenti, in base agli attuali incentivi alla produzione di elettricità da biomasse.

A nostro avviso è giustificata l’opposizione alla realizzazione di questi impianti sia da parte delle comunità interessate, sia, spesso dei loro rappresentanti, in quanto le centrali a biomasse proposte non sono assolutamente una scelta obbligata, né tantomeno una scelta strategica allo sviluppo del Paese. Molti dei problemi ambientali e sanitari indotti dal loro esercizio potrebbero essere evitati o fortemente ridotti, se al posto della combustione delle biomasse venisse realizzato un diverso impianto per la produzione di energia da biomasse (ad esempio trattamento anaerobico delle biomasse con produzione di biogas e compost), con una capacità di trattamento idonea alla produzione locale degli scarti agricoli e di allevamento e degli scarti biodegradabili dei rifiuti urbani, raccolti con una opportuna separazione alla fonte.

Dr. Federico Valerio

S.S. Chimica Ambientale

Istituto Nazionale Ricerca Cancro, Genova

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